Via nuova Dietro la Vigna 20, 80145 Napoli
Info e prenotazioni 081 5851096 / 081 5514981

di Enzo Moscato
con Imma Villa
regia Carlo Cerciello
scena Roberto Crea
suono Hubert Westkemper
musiche originali Paolo Coletta
costumi Daniela Ciancio
disegno luci Cesare Accetta
aiuto regia Aniello Mallardo
direttore tecnico Marco Perrella
foto di scena Andrea Falasconi
assistenti regia Tonia Persico, Serena Mazzei - tecnico luci Fabio Faliero - tecnico audio Jack Hakim
ass.te scenografia – Michele Gigi – ufficio stampa Raimondo Adamo - amm.ne Maria Luisa Martella
produzione Teatro Elicantropo – Anonima Romanzi e Prospet

Tempo e luogo: dopo il terremoto del 1980 a Napoli … e oltre.

SCANNASURICE è una sorta di discesa agli “inferi”, post terremoto, di un personaggio dalla identità androgina, nell’ipogeo napoletano dove abita, all’interno di una stamberga, tra gli elementi più arcani della napoletanità, in compagnia dei topi, metafora dei napoletani stessi e dei fantasmi delle leggende metropolitane partenopee, dalla Bella ‘mbriana al Munaciello, tra spazzatura e oggetti simbolo della sua condizione, alla ricerca di un’identità smarrita dentro le macerie della storia e della sua quotidianità terremotata.
Il personaggio fa la vita, “batte”. E’, originariamente, un “femminiello” dei Quartieri Spagnoli di Napoli, ma i femminielli di Enzo Moscato sono creature senza identità, quasi mitologiche. Oltre l’identità sessuale, sono quasi magiche. E’ per questo che ho deciso di farlo interpretare a un’attrice, naturalmente, oltre l’identità sessuale, rendendone evidenti l’ambiguità e l’eccesso. Una volta smontata la sua appariscente identità, indosserà la solitudine e la fatiscenza stessa del tugurio dove vive. Sarà cieca Cassandra, angelo scacciato dal Paradiso, sarà maga, sarà icona grottesca e disperata, ma sempre poetica. Nel finale, infine, si ucciderà.

“…misteriosofico-plebeo poema sulla mia discesa agli Inferi di Napoli (i bassi, gli ipogei), appena secondo, in senso cronologico tra i testi da me pensati per il teatro, eppure possedente già, "in nuce", se non di fatto, gran parte della malattia anti-tradizionale, gran parte di quell'"es-tradizione" dalle mie proprie radici, che avrei espresso pienamente dopo, in altri ed insoliti esiti drammatici. Già il titolo del lavoro, (…) si attestava altrove, in un polemico rifiuto a non volermi allineare, a non cercare di nascondermi (pur'io!), all'indomani del tremendo ma, per tanti versi, già annunciato, sconquasso del terremoto dеll’80, la lucida е irrimediabile visione del massacro, dell'eccidio, lo sterminio, non tanto di persone o case, quanto di idee, emozioni, sentimenti, che tra alti e bassi, per tanti secoli, aveva costituito l'anima genuina, il "modus agendi et cogitandi" del popolo e della città di Napoli (…). Ecco, io con Sсannasùriсe (…) vedevo е percepivo le ferite, le faglie, le fratture dei nostri animi con lo stato precedente della vita e la cultura a Napoli …”

Enzo Moscato

Ho scelto di tornare alla messinscena di un testo in lingua napoletana, di tornare ad un autore antioleografico per eccellenza come Moscato, mettendo in scena il suo testo Scannasurice, scritto dopo il terremoto dell’80, nell’intento di allontanarmi dalla malsana oleografia di ritorno, che, nuovamente, appesta Napoli di retorica e luoghi comuni, in una città che ha smarrito la memoria stessa della sua vita culturale, seppellita dalla banalità e dal conformismo. Il terremoto etico, sociale, politico della seconda metà del 900, mi vede, oggi, sopravvissuto, confuso e smarrito, aggirarmi tra le macerie di ideologie, emozioni e sentimenti, proprio come, da napoletano, vissi il terremoto dell’80. “Chi so'? Stong 'arinto? Stong 'afora? Nun moro, no... ma neppure campo comm'apprimme: 'a vista, 'e mmane, 'e rrecchie... tutte cose se n'è ghiute... e pure 'a voce... ancora 'nu poco... e poi... sommergerà, affonderà pur'essa” (da Scannasurice). Mirabilmente, in queste parole, è Enzo Moscato stesso a sintetizzare le intenzioni e il significato profondo del suo testo, nonché il senso profondo del malessere, della precarietà, della solitudine, della disperazione e della ribellione, che pervadono il suo “simbolico” protagonista.

Carlo Cerciello