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UN GIARDINO PER OFELIA

di Pietro Floridia
regia Daniele Muratore
con Barbara Giordano, Serena Ottardo, Marco Polizzi (al contrabbasso)
scene Bruno Buonincontri
costumi Sara Costarelli
luci Camilla Piccioni
aiuto regia Lucia Radicchi
foto e video Mario D’Angelo
traduzione Serenella Martufi

VINCITORE DEL PREMIO “Attilio Corsini” 2009
VINCITORE DEL PREMIO SPECIALE “Universo Teatro” 2009

Una storia ambientata nella Germania degli anni ’40 dove si racconta l’incontro di due donne.
Ofelia, una giovane disabile mentale che vive coltivando fiori nell’assoluta innocenza di un rapporto di verità col mondo, e Gertrud, un’infermiera nazista mandata a verificare le condizioni di Ofelia.
Il compito di Gertud è sottoporre Ofelia al programma T4, il cosiddetto ‘Olocausto minore’ che prevedeva l’eliminazione dei disabili come vite ‘indegne di essere vissute’.
Il tutto raccontato in un triplice registro, il racconto di Gertrud dopo la fine della guerra, le vicende precedenti che scandiscono i momenti della storia e le canzoni di Edith Piaff che sintetizzano i momenti di conoscenza delle due donne ed enfatizzano le loro emozioni.

Il regista, Daniele Muratore, sulla messinscena…
OFELIA ... E se cado?
GERTRUD Ti reggo io.
OFELIA E se cade lei?
GERTRUD Mi reggi tu.
OFELIA Insomma è tutto un reggersi l’uno con l’altro…
GERTRUD Sì più o meno...

“Reggersi l’uno con l’altro” è la terapia che Gertrud sceglie per guarire Ofelia.
E’ la terapia che Gertrud sceglie per guarire se stessa, per scappare da una vita piena di dolori e di solitudine.
Queste due donne si incontrano in un momento della loro vita in cui sono completamente sole e per sfuggire da questo incubo decidono di affidarsi l’una a l’altra.
Dal concetto di solitudine e dal contesto storico sono partito per ricercare, per sondare questo testo. Dopo circa due anni di studio ho incontrato le opere di Edith Piaff, una meravigliosa artista che mi ha illuminato la strada da seguire nella rilettura scenica dell’opera. Le sue canzoni mi hanno sedotto totalmente grazie al conflitto che possiamo ritrovare in molte di esse: un desiderio di vita e di libertà circondato da un grande alone di profonda solitudine.
Lei in un’intervista dichiara: “La morte mi fa paura, ma non più della solitudine”.
La Piaff (1915-1963) inoltre è molto legata agli eventi bellici dei suoi anni: nel 1940 le viene donata da un gendarme che sta per partire per il fronte la canzone L’accordeoniste, nel 1945 canta La vie en Rose che presto diventerà per i francesi l’inno del ritorno alla vita, nel 1956 canta No, je ne regrette rien che verrà in seguito da lei dedicata alla legione straniera occupata in quegli anni nella guerra in Algeria. Ancora adesso viene utilizzata per delle parate militari.

… Sull’opera
“Nel giardino la modernità incontra la Storia” era una delle metafore preferite da Hitler quando descriveva l’opera di disinfestazione da parassiti, pidocchi ed erbacce a cui stava sottoponendo l’Europa negli anni del nazismo.
“L’immagine del giardino ha molto lavorato sulla fantasia”, “Nel giardino troviamo mentre si aggira smarrita in cerca di fiori la folle Ofelia di William Shakespeare”, “Ofelia e Gertrude le due donne dell’Amleto”… dice l’autore Pietro Floridia.
Suggestioni shakespeareane: Ofelia è come un cristallo che cede al carico di dolore e violenza che la sovrasta e impazzisce come il ramo del salice si piega fino a spezzarsi. Lei torna tra le acque. Torna a quella madre che per tutta la vicenda è stata assente. Ofelia è circondata da uomini. Dalla violenza che solo gli uomini sanno generare in quel modo.
“Il rapporto di Ofelia con una madre assente mi ha molto influenzato nell’immaginare il rapporto con l’infermiera Gertrud” continua l’autore.
Anche l’infermiera Gertrud nasce sotto il segno di Shakespeare.
La regina Gertrud, l’amante del tiranno. “Non parlar più, Amleto. Mi fai volgere gli occhi nel fondo della mia anima. E là vedo macchie così nere e profonde che non potranno più cancellarsi”.
La connivenza con il male.
Gertrud cammina su un filo.
Da un lato ha il figlio che le chiede di redimersi, di smettere di stare nello stesso letto con l’assassino; dall’altro ha il tiranno che la lusinga, che la fa sentire donna, forse per la prima volta. Lei vittima del potere ma carnefice della persona da lei più amata.
Persone normali, non mostri, che, giorno dopo giorno, agivano, complici tanti fattori, da carnefici.

Il contrabbassista, Marco Polizzi…
È stato molto stimolante accettare la sfida di realizzare, ed eseguire in scena, una colonna sonora utilizzando solo il contrabbasso, strumento notoriamente relegato all'accompagnamento, mettendone in evidenza la versatilità timbrica, oltre a quella scenica. L’ esecuzione dal vivo delle musiche mi consente di interagire con le dinamiche e il ritmo della recitazione diventando così il terzo personaggio in scena.

Ofelia, Barbara Giordano
Ogni volta che aspetto il mio turno per entrare in scena penso:
- Questa volta non arriverò fino in fondo, sverrò, mi dimenticherò le battute, il pubblico se ne andrà prima della fine dello spettacolo - e altre delizie rassicuranti simili.
Poi entro e mi ricordo che Ofelia è altro da tutto questo. Lei non ha paura di come appare, non crede di dover dire determinate parole piuttosto che altre, è abituata ad essere ignorata dagli adulti e additata come ragazza mentalmente ritardata. La sua ragione di vita è avere sempre un nuovo fiore da coltivare, vederlo crescere a poco a poco, giorno dopo giorno.
Ofelia mi ha insegnato la forza della progettualità, mi ha insegnato ad individuare i germogli negli incontri e ad innaffiarli di lacrime e risate e rabbia a volte, ma con la costanza che si riserva a ciò che scegliamo di amare totalmente.

Gertrud, Serena Ottardo…
Considerando la mia personale esperienza da cantante professionista, posso affermare che “Tiergartenstrasse 4 – Un giardino per Ofelia” mi ha dato la grande opportunità di confrontarmi con i brani della grandiosa Edith Piaff, esplorandone i colori e le caratteristiche, ma soprattutto per la prima volta mi sono trovata ad osservare la capacità interpretativa, nel corpo e nella vocalità, di un’artista lontana… non del nostro tempo. È stato davvero interessante e stimolante accostarsi ad un mondo comunicativo completamente differente dal mio, dal nostro. Dalla postura scenica contenuta e sobria, al modo di usare le mani altrettanto scarno ma diretto, tipicamente anni ’40.
Tutte caratteristiche che ho cercato più possibile di “incanalare” nel mio personaggio, “Gertrud” una donna costretta socialmente alla durezza espressiva ed alla severità di modi ed azioni. Tirando le somme, un’esperienza per me del tutto nuova e sorprendente da ogni punto di vista.

L’aiuto regia, Lucia Radicchi…
Quando un’attrice decide per la prima volta di accettare di fare l’aiuto regia, credo scelga in quel preciso istante di mettere tutto in discussione, di guardare il palco, gli altri attori, il regista, la platea, lo staff tecnico, il suo lavoro, le sue convinzioni, da una prospettiva diversa, accettando più che mai che questo lavoro è una continua ricerca, un continuo “perché”, un eterno viaggio.
Ho visto quindi nascere questo spettacolo, l’ho visto prendere forma, crescere, l’ho guardato tra il pubblico, dalle quinte, accanto al tecnico in regia, ed ogni volta sono arrivate emozioni diverse, spesso inaspettate. All’inizio mi sono detta: la magia del teatro fa sempre il suo lavoro! Poi ho capito che era questo spettacolo a brillare di luce propria.
Pur trattando un argomento così forte e doloroso, il testo alterna momenti drammatici a momenti dove si riesce a sorridere. E’ così geniale da poter permettere una scenografia povera, che lascia spazio all’immaginazione dello spettatore. Questi non fatica affatto a vedere oltre, ed entrare così nel mondo fiorito della nostra Ofelia, ripercorrendo accanto a Gertrud, sulle note della grande Edith Piaf, un flashback di tenerezza, paura, solitudine, innocenza e soprattutto un pezzo di Storia che non può lasciare indifferenti.
Solitamente il pubblico di uno spettacolo conosce il viso di chi sta sul palco e quello del regista, quasi nessuno sa com’è quello dell’aiuto regia e questo ti permette a fine spettacolo di girare tra la gente, che non sa chi sei, ed ascoltare le vere critiche, che escono senza filtri. La cosa più bella che ho sentito è stata: “Ho un misto di emozioni e stati d’animo dentro che non riesco a spiegare, ho fatto fatica a cominciare ad applaudire!” E’ sempre così anche per me, ad ogni replica. Sono arrivata a credere che appena si spegne la luce, nel finale, quella manciata di secondi di sospensione e di totale silenzio prima dell’applauso in realtà è un istante in cui tutti, a loro modo, gridano.