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di Roberto Russo
con Pino L'Abbate e Imma Pagano
regia Gianni De Feo
produzione Arteteca

Un cumulo di rifiuti domina la scena invadendola con il suo gravoso insieme di pezzi, frammenti di una società occidentale infartuata. L’uomo, seduto in cima, su una specie di scanno, pare dormire in una quiete irreale.

La donna che gli si avvicina è gentile, formale, e la rassicurante buona educazione di Loise (questo è il suo nome), fa da contro altare ad un impianto scenico surreale sul quale spiccano due grandi schermi. L’uomo, richiamato dalla donna, si sveglia ed il loro incontro ha l’incedere della commedia acida, secca e nervosa che strappa la risata e che, nello stesso tempo, inquieta. Da quale mondo provengono questo attore, Jacco, dal carattere apparentemente cinico e scontroso e questa donna che pare essersi persa non si sa come e dove? Di quale realtà fanno parte? Lui, a prima vista, sembra un clochard che ha fatto la scelta di vivere al di fuori delle convenzioni…Ma è davvero così? Lei sembra solo un po’ confusa, una borghese un po’ snob ma concreta nel rivendicare le proprie origini e i propri luoghi di elezione…ma è davvero tale? Tutte le risposte si trovano nel luogo, nell’identificazione precisa del luogo che scaturirà non solo dalle loro parole ma anche dalle immagini che scorreranno sugli schermi…Quel luogo non è una creazione surreale, è drammaticamente reale, è la Napoli dei nostri giorni. La Napoli insozzata dai rifiuti che l’affogano ma anche dalle mille false promesse, dalle centomila speculazioni, dalle tante Camorre e da un Male culturale che serpeggia dovunque, dal salotto borghese, ai palazzi del Potere, fino ai vicoli bui. Siamo (e lo sveleranno i personaggi nello svolgersi del loro incontro-scontro) in una sorta di Day After: la città è stata abbandonata, nulla più vive, le stesse falde acquifere sono ormai avvelenate e i nostri due personaggi sono gli unici sopravvissuti. I motivi che li hanno spinti a restare sono molto diversi: la donna è talmente abituata al suo habitat da non voler né vedere, né comprendere quanto è accaduto e, nelle sue parole, pare riproporre un tentativo schizofrenico di “normalità”. L’uomo è rimasto per scelta. In lui c’è il tentativo di ricomporre una propria memoria, che poi è anche la memoria della città, attraverso degli scritti, delle poesie che, ormai libere dal confusionario ed approssimativo folklore, appaiono per ciò che sono: cuore, speranza, desiderio di ripartire da zero dalle parole dei poeti e dai veri sentimenti della gente. Il tesoro dell’uomo è fatto di frammenti, fogli custoditi in una scatola di legno e mandati a memoria, da recitare al Nulla ed al Tutto, alla Storia e alla Povera Cronaca. E’ il primo giorno della Creazione per una nuova Pompei, chiamata Napoli, travolta non dal Vulcano ma dalla propria stessa indifferenza.
“Rifiuti” non è soltanto il cumulo che appare enorme e pressante sulla scena, è anche il “no” urlato ad una falsa società del benessere, è anche la chiusura ad ogni tipo di rapporto dopo tanto parlare a vanvera in nome di un’inesistente normalità. “Rifiuti”, e tutto ciò che è scarto, appare come essenza, monito e punto di arrivo.

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