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LE TRE SORELLE

LE TRE SORELLE

Di A. Cechov
rielaborazione a cura di Fabio Pisano

con
Alida Tarallo / Olga
Francesca Borriero / Irina
Marianita Carfora / Masca
Roberto Ingenito / Versenin
Vincenzo Esposito / operaio
Gaetano Migliaccio / operaio

impianto scenico Ivan Gordiano Borrelli
costumi Annalisa Ciaramella
assistente alla regia Giorgia Napolitano
direzione di produzione Hilenia de Falco
regia Lello Serao
produzione Teatri Associati di Napoli

Il tempo passa e ogni desiderio e ogni aspettativa viene delusa, il destino è inappellabile e concede all’uomo, forse, solo pochi istanti di breve felicità. Una generazione ricca di aspettative vede sfumare le proprie ambizioni lasciandosi morire tra rimpianti, dolori e abbandoni. Ogni personaggio si avvia a vivere un personale e tragico epilogo: ognuno di essi sconvolto, deluso e disingannato non potrà far altro che interrogarsi sulla mancata realizzazione dei propri desideri. La battuta finale con cui si chiude il penultimo dramma di Čhecov ,“Poterlo sapere, poterlo sapere!”, racchiude tutto il senso o meglio tutto il non senso di una vita trascorsa fra corpi sospesi, inadeguati, tristemente cominci e tragici che fingendo di preoccuparsi d’altro sentono tutto il peso della sofferenza e dell’ingiustizia e non riescono a non chiedersi “Il senso dove sta?”
Le tre sorelle è dunque una riflessione sul tema della disillusione, della felicità e dell’infelicità, sospesa tra falsa allegria e crepuscolarismo, tra ilarità e angoscia, attraverso l’analisi psicologia dei protagonisti. Una costante ricerca dell’attimo e dell’ ascolto; una storia di assenza e di vuoto. La vita diventa agonia e naufragio. Sono proprio i desideri più intensi che non si realizzano perchè i gesti non corrispondono alla intensità dei desideri, non c’è volontà, la realtà intorpidita collude e distrugge la profondità dei sogni. Il futuro migliore, invocato fin dal principio con dissertazioni filosofiche che sembrano dargli forza, resta un sogno impossibile, irrealizzabile. Uno girare a vuoto, aspettando che si realizza l’eterna promessa di una società migliore.
È questa l’umanità del Novecento, un’umanità che aspetta invano mister Godot. Un’umanità dai piccoli personaggi con i loro rituali quotidiani, le piccole ipocrisie e i grandi fallimenti.
Questi temi ci sembrano amplificarsi e diventare universali se al testo togliamo o semplifichiamo le relazioni interpersonali e se ognuno resta in un microcosmo autosufficiente.
L’operazione che vogliamo tentare è quella di affidare alle Tre sorelle la centralità che meritano, tutto è già successo e tutto si ripete in un processo di memoria all’infinito e l’interrogarsi su di se e sui propri fallimenti assume il valore di autocritica distante dal tempo della sua utilità. I personaggi invocano un futuro migliore, sembra che lo stiano sognando, e invece si scontrano con l'impossibilità di farlo, come confinati nei loro stessi sogni. È proprio questa condizione che rende il testo così attuale.
Le ultime generazioni hanno subito, seppur con delle differenze, una fine analoga, abbiamo speso i migliori anni della nostra formazione nella speranza di cambiare il mondo e di renderlo più giusto e più umano. Il tempo e le sconfitte ci hanno resi insensibili e spesso estranei al tempo che viviamo, i sogni si sono trasformati solo ed esclusivamente nella loro ineluttabile impossibilità, ci interroghiamo sugli errori, ma siamo incapaci di darci delle risposte e ci assolviamo da essi nascondendoci nella giustificazione degli affanni quotidiani.
Uno spettacolo che ci auguriamo possa aiutare chi ancora ha occhi aperti sul futuro, uno spettacolo che apra spazi di riflessione sui sogni e bisogni e sulle speranze di cambiamento che ogni generazione coltiva.