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IL LABIRINTO

IL LABIRINTO

di Giuliano Longone
da Daniel Keyes, Fiori per Algernon
con Lello Serao, Alessia Sirano
assistente alla regia Giammarco Serao
installazione Daniele Signoriello, Maria Di Nuzzo
costumi Annamaria Morelli
regia Lello Serao

Lo spettacolo Il Labirinto è liberamente tratto dall’’indimenticabile romanzo di Daniel Keyes Fiori Per Alegrnon, uno dei libri più profondi, intensi e intelligenti del Novecento.
Tutta la vicenda ruota intorno alla figura di Charlie Gordon, lo spettacolo è una superba riflessione sull’intelligenza e sulla dialettica tra esseri umani, una amarissima elegia della diversità.
Charlie Gordon è un apprendista fornaio, a undici dollari la settimana. La famiglia l’ha scacciato quando ne aveva dodici, perché la sua presenza non fosse d’impaccio per la sorellina sana. Il dottor Strauss dice che deve scrivere quel che pensa e ricorda, e tutto quel che gli accadrà dopo l’esperimento. Perché Charlie è ritardato, ed è stato prescelto, all’interno d’una classe speciale, per via della sua particolare motivazione, atipica per un uomo dal quoziente intellettivo pari a 70. Dovrà stilare, così, regolari rapporti sui suoi progressi, divisi giornata per giornata, come in un diario. E’ partendo dalla struttura linguistica del romanzo che lo spettacolo prende vita, quello che nel romanzo è scandito attraverso la stesura dei diari da parte di Charlie nello spettacolo diventa una ricostruzione minuziosa a ritroso che porta il protagonista a sistemare tutti i tasselli di una vita condotta dapprima in maniera inconsapevole con il solo desiderio di piacere agli altri e poi nell’analisi e nella conoscenza di quanto l’accresciuta intelligenza a cui è stato sottoposto comporti sia sotto il profilo umano che scientifico.
La stessa operazione che ha subito Charlie è stata effettuata su un topolino, Algernon. È diventato tre volte più intelligente di prima: nel laboratorio di Psicologia, i dottori osservano i suoi stupefacenti progressi nelle corse a ostacoli all’interno di un labirinto. Charlie viene sconfitto, nelle prime sfide con Algernon, e avverte un sentimento d’invidia per le sue capacità. Odia Algernon, i labirinti, i test, ma una volta sottoposto ai rituali chirurgici Charlie cambia: la velocità della sua metamorfosi sarà progressiva e brutale. Inizia a guardare con spirito critico tutto quel che ha intorno. Riesce a ricostruire frammenti sempre più significativi del suo passato. Ricorda l’abbandono. Prende coscienza che quella è l’origine della sua motivazione: il frustrato desiderio d’accettazione: l’umanissimo bisogno d’amore.
L’attività onirica di Charlie si fa sempre più intensa: è sconvolto dalla progressione e dall’evoluzione dei suoi pensieri, dalla sempre più nitida percezione di se stesso e dell’alterità, da una suprema e inappagabile avidità di conoscenza .L’ortografia delle relazioni è sempre meno costellata da errori: Charlie si sensibilizza alla punteggiatura, rispetta le doppie. Diventa, infine, finissimo artista della parola. Diversamente dall’impressionante sviluppo del suo quoziente intellettivo, la sua sfera emozionale rimane svantaggiata e arretrata: i dottori s’accorgono che la sua prossima genialità patirà la zavorra di una dolorosa fragilità emotiva. Charlie perderà il contatto con la realtà: si troverà allontanato, come vedremo, dal suo precedente ambiente lavorativo, dove verrà visto con sospetto e con orrore per la sua mostruosa diversità intellettuale; avrà difficoltà nelle relazioni sentimentali; si scoprirà, a un tratto, senza più amici e senza più comprensione da parte dell’alterità. Isolato. S’innamora di quella che era stata la sua maestra nella scuola “speciale”, Alice. Lei, inizialmente, è titubante e incerta: teme che lo sviluppo dell’intelligenza di Charlie possa condurlo troppo lontano dal suo mondo, paventa un futuro distacco tra loro, abissale e irrisolvibile. Quando le prime, timide schermaglie amorose stanno per trasformarsi in un rapporto sessuale, la tara che infesta l’emotività di Charlie produce la prima di una serie di allucinazioni: riesce a percepirsi come fosse scisso; il “vecchio” Charlie lo osserva, nel buio, curioso e atterrito al contempo, paralizzando il “nuovo”. L’emotività e l’umanità dell’idiota soffocano e castrano il genio.

Il passato è reale.
Dal passato torna l’eco delle proibizioni e delle intimidazioni familiari: un ritardato non doveva osare guardare altre ragazze. D’un tratto, però, il suo gemello d’esperimento, il topo Algernon, comincia a manifestare i sintomi di una crisi, Charlie, preoccupato per la sorte di Algernon – che avrebbe prospettato la sua medesima – medita sulle stravaganti e inattese involuzioni del suo atteggiamento. Ha l’intuizione dell’errore commesso da Nemur e Strauss: e capisce di dover cercare un rimedio, per evitare che la regressione dell’intelligenza sua e del topo possa divenire irreversibile.
Charlie porta via con sé Algernon, in un’altra casa. Per vivere una diversa vita, liberi dal giogo degli esperimenti imperfetti dei dottori. In quella casa, Charlie costruirà un nuovo e più complesso labirinto tridimensionale per Algernon, per aiutarlo a tenere la mente allenata, la regressione, all’improvviso, comincia a manifestarsi. Algernon si sta ammalando. È imprevedibile. Charlie porterà a termine, con grande fatica, il suo studio. La dissociazione della sua personalità si farà sempre più dolorosa e incontrollabile. Sebbene riconosca che il “vecchio Charlie” aspetta nell’ombra, perché non intende affermarsi con prepotenza, sa che non potrà procrastinare a oltranza il definitivo passaggio di consegna. Il deterioramento sarà rapido.
Con l’ultima lucidità, compila ancora i rapporti. Pur regredendo, testimoniando la morte di Algernon e percependo lo smarrimento delle sue conoscenze e della sua intelligenza, scrive di voler discolpare tutti, purché promettano di non effettuare esperimenti analoghi sugli uomini in futuro, almeno non prima che gli animali abbiano dimostrato la perfetta riuscita del trapianto del tessuto cerebrale. Ma poggia i fiori sulla tomba di Algernon, in cortile. E questo potrebbe suggerire qualcosa di differente.
È l’idiota a concludere lo spettacolo. Con l’umanità che mancava al genio. Con l’ultima richiesta a chi ha assistito alla sua progressiva regressione, quella d’aver pietà della tomba di Algernon, e di non perderne memoria.

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