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LE STATUE MOVIBILI

LE STATUE MOVIBILI

una produzione Teatri Associati di Napoli/le Nuvole
con Ciro Esposito, Daniela Ioia, Niko Mucci, Biagio Musella, Raffaele Parisi, Ciro Pellegrino, Nunzia Schiano
scene a cura degli allievi del corso di scenografia
Dell’Accademia di Belle Arti su progetto di Martina Pagano
Diretti dal Prof. Tonino Di Ronza
costumi Annamaria Morelli
realizzazione costumi: CTN75 di Vincenzo Canzanella
musiche Niko Mucci e Luca Toller
ufficio stampa Alessia Sirano
foto di scena Giuliano Longone
grafica Salvatore Fiore
amministrazione Gloriana Piemontino
regia Lello Serao

L’attualità, ne Le statue movibili, funziona come fattore decisivo a fare della pièce un arguto e agile vaudeville in cui circola quasi un’aria parigina, ma dove sono presenti anche dei veleni propri alle atmosfere della città moderna.
Il tema centrale è del giovane di relativamente agiata famiglia rustica che viene in città a cercarsi un altro destino, ma che non riesce, per indolenza e lentezza di indole, se non a indebitarsi col padrone di casa e a vivere di espedienti e di dolce far niente.
A questo punto inizia la commedia, con l’ingresso in scena di un signore, ricco e supponente proprietario di case, che viene a proporre al protagonista, Felice Sciosciammocca e al suo servo Pulcinella, plebeamente e sanguignamente irridente ai tic e alle presunzioni del parvenu entrato di sua iniziativa in casa, di dargli in fitto gratuitamente per un po’ di mesi un appartamento: con la presenza del giovane e del suo servo il signor proprietario vuole sfatare la leggenda che la casa sarebbe abitata da spiriti. (E’ la premessa di una situazione che più tardi maturerà, con implicazioni interiori, in Questi fantasmi di Eduardo).
L’inattesa proposta destabilizza i calcoli e il linguaggio stesso del protagonista, che si difende a suo modo con ammiccamenti e pastiches linguistici. In realtà, dietro i gesti e le parole dei personaggi, si muove un’azione che li sovrasta: è la città che entra nella vita quotidiana e ne sconvolge l’ordinarietà e la privatezza.
E’ l’arroganza della ricchezza che si accampa centrale e ineludibile come l’argomento con cui tutti devono fare i conti. L’interno familiare ne viene sconvolto: esso finisce per non appartenere più a chi ha il titolo legittimo di gestirlo secondo sue misure e suoi ritmi. La città, infine, trionfa definitivamente, come risolutiva di ogni nodo, nella scena delle “statue movibili”, che qui vengono chiamate in cause ed esibite come espedienti d’inganno, ma che non pertanto perdono la suggestività simbolica di sortilegio moderno, col quale Petito si misurerarà anche in altri lavori della sua ultima e lievitante stagione, come ad esempio Tre banche a ‘o treciento pe mille.… Na lotteria arfabeteca e soprattutto I quadri plastici e Il barraccone delle marionette meccaniche. Qui lo sgrammaticato e artigianale Petito fa dialogare Napoli con l’Europa e la modernità.
Il testo de “Le Statue movibili” (attribuito ad Antonio Petito) è uno dei tanti tasselli che hanno segnato il percorso della cosiddetta “mutazione”, ovvero l’inarrestabile processo che terminerà con Scarpetta e che vede la definitiva affermazione del “Felice” a dispetto della storica maschera di Pulcinella, che per secoli aveva segnato le scene.
La sensazione, in questo testo, è che siamo ancora in una fase interlocutoria di questo processo, Felice è un giovane scanzonato studente e Pulcinella ancora un servitore scaltro, capace di risolvere, con le sue trovate, le disgrazie a cui la miseria e la costante mancanza di denaro condanna i due. Lo spirito è quello allegro e vivace che regna nelle case degli studenti squattrinati, per i quali l’amore, il gioco, il divertimento e il mangiare a sbafo costituiscono le uniche preoccupazioni della giornata.
Questo spirito allegro resta tale anche quando le faccende si complicano, anche quando la scoperta dell’inganno presuppone la punizione da parte degli adulti. Questi due mondi, quello bambino di Felice e Pulcinella e quello adulto dei proprietari di casa e dei parenti, non si incontrano mai, se non per artifici che servono ad arrivare ad un finale conciliante, ma le differenze restano e resteranno in barba alle promesse e alle buone intenzioni.
Nei dettagli, dalla scena ai costumi questa distanza è palese, da un lato la miseria a cui fa da contrappunto la gioia spensierata, dall’altro lo sfarzo manifesto segno di solidità economica ma anche di arroganza e presunzione. La trasparenza dei comportamenti, l’inganno evidente, la manifesta volontà di trasgressione sono sottolineati e ancor più evidenziati dalla scenografia che progredisce verso trasparenze in cui l’interno e l’esterno si fondono fino a quando la città invade l’interno casa.
Il testo lascia spazio alla creatività e all’improvvisazione degli attori con reinvenzioni che ci derivano dall’enorme patrimonio che dal Maccus arriva fino ai giorni nostri e che non disdegna puntate anche nel quotidiano più recente.

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