Cassandra è una donna. Come nessuna donna lo è. Cassan¬dra, originaria del mito greco-romano, è la figlia dell’imperatore di Troia, Priamo. Lei, per un colpo di fortuna di destinazione, vince il dono della visione e profezia, ma tutto è visto da lei, e tutto ciò che dice è screditato. Vede la guerra e la morte, ma per gli altri i suoi avvertimenti suonano solo come divagazioni di pessimismo non voluto - la sua parola batte ma non riecheggia negli eventi.Cassandra attraversa generazioni, epoche, curiosità, desideri infiniti per decifrare miti e feticci. Adesso siamo pure noi, che cerchiamo di mapeare il proprio tempo e ci sono pure io, un corpo-at¬trice - donna. Investite da un enorme campo di immagini e dall’urgenza del tempo produttivo. Intrappolate dal progresso di una cultura dell’odio, del neoliberismo e delle incertezze politiche.
Cassandra rappresenta il pensiero femminile e dà voce alla unicità di accogliere la stessa trama delle istanze íntima e pubblica: lo spazio privato della convivenza, la casa, la fluidità della vita e emozioni con la gestione politica della comunità che è segnata da cicli predeterminati. Per la società patriarcale, interessata a mantenere relazioni e sottomissione ineguali, il mondo femminile è incomprensibile e impossibile. La singolarità della voce femminile è considerata, dalla culla della Grecia metafisica che ha visto il mito di Cassandra essere generato, illogico. Cioè, la donna si adatterebbe la voce senza loghi, senza pensare. La donna si adatte¬rebbe al posto dell’oggetto, il corpo come paesaggio fetish (come rapito di Helena) per essere colonizzato e non per la creazione di conoscenza.
Vedere chiaramente ciò che è ancora oscuro per gli altri è un fardello quando le parole non diventano mediatori del cambiamen¬to. Ma per quanto riguarda noi? Potremmo enunciare la parola come un’arma / affetto che attraversa e abita nell’intimo forum? Quale possibile accordo con il motore della trasformazione? Possiamo dare vita e ascoltare verbi e denunce contro la vita e contro l’umano? Ai nostri giorni, quanto ci vuole per forgiare quello che chiamiamo il futuro? Un minuto, un giorno? Un aggiornamento su un sito di notizie?
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